Categoria: breve corso di neuroscienze dello sviluppo

  • 7. L’attenzione condivisa: guardare insieme per capire insieme

    L’attenzione condivisa (o joint attention) è la capacità di coordinare il proprio sguardo e il proprio interesse con quello di un’altra persona verso un oggetto o un evento.

    È una delle conquiste più significative dello sviluppo precoce: compare intorno ai 9–12 mesi e rappresenta una base cruciale per la comunicazione e per la comprensione sociale.

    Quando un bambino segue lo sguardo dell’adulto o indica qualcosa per condividerlo, non sta semplicemente guardando: sta comunicando un’intenzione, un interesse, un significato.

    Attraverso l’attenzione condivisa, il bambino scopre che “guardare insieme” significa anche comprendere insieme.

    Numerosi studi mostrano che la qualità dell’attenzione condivisa nei primi anni predice lo sviluppo linguistico e socio-cognitivo successivo.

    Nei disturbi dello spettro autistico, questa competenza è spesso compromessa, rendendo più difficile l’accesso spontaneo alla comunicazione reciproca.

    Promuovere esperienze di attenzione condivisa, quindi, non è solo un obiettivo educativo: è un modo per sostenere la crescita della mente sociale.

  • 6. Dal riflesso alla scelta: come si sviluppa l’attenzione

    Nei primi mesi di vita, l’attenzione del bambino è guidata da stimoli salienti: suoni improvvisi, volti umani, movimenti.

    Questa forma di attenzione “riflessa” è fondamentale per la sopravvivenza, ma limitata nella possibilità di selezione.

    Con lo sviluppo neurologico e l’esperienza, l’attenzione diventa più intenzionale e controllata: il bambino impara a scegliere dove guardare e per quanto tempo.

    Tra i 3 e i 6 anni, grazie alla maturazione delle aree frontali, emergono le prime forme di controllo inibitorio e la capacità di mantenere il focus per periodi prolungati.

    Durante la scuola primaria, l’attenzione si stabilizza e diventa sempre più integrata con la memoria di lavoro e le funzioni esecutive.

    Questo percorso non è uguale per tutti. Nei disturbi del neurosviluppo, come ADHD o disturbo dello spettro autistico, il sistema attentivo può svilupparsi in modo atipico.

    Comprendere i meccanismi e le tappe evolutive dell’attenzione significa poter individuare precocemente difficoltà e progettare interventi mirati per sostenere l’autoregolazione e l’apprendimento.

  • 5. Tre reti per una sola attenzione

    Negli anni ’90, Michael Posner e Mary Rothbart hanno proposto un modello oggi considerato un punto di riferimento nelle neuroscienze cognitive: l’attenzione è sostenuta da tre reti cerebrali distinte ma interconnesse.

    1. Rete dell’alerting: regola il livello di allerta e prontezza. È attiva quando ci prepariamo a reagire a uno stimolo imminente (ad esempio, il suono del semaforo che cambia).
    2. Rete dell’orienting: consente di dirigere lo sguardo e la mente verso un punto dello spazio o un’informazione rilevante. È ciò che ci permette di “spostare” l’attenzione in modo rapido ed efficace.
    3. Rete dell’attenzione esecutiva: coinvolge i lobi frontali e il cingolato anteriore. Serve per inibire distrazioni, gestire conflitti e mantenere il controllo cognitivo.

    Queste tre reti si organizzano in due vie principali:

    • la rete dorsale dell’attenzione (DAN), responsabile dei processi volontari e top-down, che permettono di dirigere e mantenere il focus in modo intenzionale;
    • la rete ventrale dell’attenzione (VAN), implicata nei processi automatici e bottom-up, che catturano l’attenzione di fronte a stimoli nuovi o inattesi.

    Per studiare il funzionamento di queste reti, Posner e colleghi hanno ideato l’Attention Network Task (ANT), un compito sperimentale che misura in un’unica prova l’efficienza delle tre reti attentive.

    Il test valuta la capacità di reagire a segnali di allerta, di orientare lo sguardo e di risolvere conflitti cognitivi, offrendo una mappa funzionale dell’attenzione individuale.

    I risultati di questi studi hanno mostrato che le tre reti sono neuroanatomicamente distinte, ma funzionalmente integrate, e che il loro equilibrio è alla base delle differenze individuali nell’attenzione — nei bambini, negli adulti e nei disturbi del neurosviluppo.

    L’attenzione, dunque, non è un singolo processo, ma una rete di reti che orchestra il modo in cui entriamo in contatto con il mondo.

  • 4. Il focus attentivo: zoomare con la mente

    Immagina l’attenzione come un fascio di luce che illumina parte del campo visivo o mentale. È la metafora dello “spotlight attentivo”, proposta dagli psicologi cognitivi per descrivere il modo in cui la mente seleziona le informazioni da elaborare.

    Quando il focus è stretto, l’elaborazione è precisa ma limitata a un numero ridotto di elementi.

    Quando è ampio, la percezione è più globale ma meno dettagliata.

    Il cervello regola costantemente l’ampiezza di questo “zoom mentale” in base al compito, alla motivazione e al livello di attivazione.

    Nei bambini piccoli, il focus attentivo è ancora instabile: l’attenzione si sposta facilmente da uno stimolo all’altro. Con la crescita, e con la maturazione della corteccia prefrontale, aumenta la capacità di mantenere il focus e di spostarlo in modo intenzionale.

    Questo equilibrio tra flessibilità e controllo è ciò che permette di imparare, risolvere problemi e partecipare efficacemente alle attività scolastiche.

    Il focus attentivo non riguarda solo la vista: coinvolge anche l’ascolto, la memoria e la pianificazione. È un meccanismo centrale per la costruzione della conoscenza e per la capacità di regolare il comportamento.

  • 3. I modelli teorici dell’attenzione: dal filtro al controllo cognitivo

    Nel corso del Novecento, diversi modelli hanno cercato di spiegare come il cervello gestisce il flusso costante di informazioni.

    • Broadbent (1958) propose il modello del filtro precoce: solo le informazioni selezionate passano all’elaborazione cosciente.
    • Treisman (1960) introdusse il concetto di filtro attenuato, secondo cui gli stimoli non selezionati non vengono eliminati, ma elaborati in forma attenuata.
    • Deutsch e Deutsch (1963) spostarono l’attenzione verso modelli di selezione tardiva, in cui la valutazione del significato avviene prima della scelta consapevole.

    Oggi, grazie alle neuroscienze, questi modelli vengono reinterpretati alla luce delle reti dorsale e ventrale dell’attenzione: il filtro cognitivo di cui parlavano gli autori classici trova un corrispettivo biologico nelle reti che bilanciano i processi volontari (top-down) e automatici (bottom-up).

    I modelli contemporanei integrano questi approcci in una visione dinamica: l’attenzione è un sistema distribuito che bilancia efficienza e flessibilità, controllo e apertura.

    Non esiste un “centro dell’attenzione”, ma una rete che orchestra il nostro modo di percepire, pensare e agire nel mondo.

  • 2. La scienza dell’attenzione – Viaggio tra mente, cervello e sviluppo

    Capire l’attenzione significa capire come la mente sceglie, filtra e costruisce il mondo.

    L’attenzione è la lente con cui il cervello filtra la realtà.

    Ci permette di scegliere, tra migliaia di stimoli, ciò che conta davvero: un volto, una voce, un’idea. È alla base della percezione, della memoria e dell’apprendimento.

    Con la rubrica “La scienza dell’attenzione”, il CDN – Centro Disturbi del Neurosviluppo propone un percorso in sei tappe per esplorare i meccanismi cognitivi e neurali che regolano l’attenzione, dal suo sviluppo nei bambini alle sue alterazioni nei disturbi del neurosviluppo.

    🧠 Dalle reti dorsale e ventrale che guidano il focus alle tre reti di Posner e all’Attention Network Task dal “faro” attentivo che illumina ciò che contaall’attenzione condivisa che costruisce la comunicazione fino ai modelli che collegano mente e cervello

    Ogni articolo offre una chiave per comprendere come la mente si orienta nel mondo.

    Scopri tutti i post della serie La scienza dell’attenzione nella sezione dedicata del sito CDN.

  • 1. Attenzione: la porta della mente

    “L’attenzione è la presa di possesso, da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno tra i diversi oggetti o pensieri possibili.”

    — William James, 1890

    Con questa celebre definizione, William James, padre della psicologia moderna, riconosceva all’attenzione un ruolo fondamentale: la capacità di selezionare, tra i molti stimoli che ci circondano, quelli che meritano di essere elaborati in profondità.

    L’attenzione è, in altre parole, la porta d’ingresso della mente. Senza di essa, la percezione rimane superficiale, la memoria si indebolisce e l’apprendimento perde efficacia.

    Oggi le neuroscienze hanno confermato l’intuizione di James, mostrando che l’attenzione non è un processo unitario, ma una rete complessa di sistemi cerebrali che operano in modo coordinato.

    In particolare, si distinguono due grandi vie attentive:

    • la rete dorsale dell’attenzione (DAN), che orienta in modo volontario e intenzionale lo sguardo e la mente verso gli obiettivi;
    • la rete ventrale dell’attenzione (VAN), che interviene in modo automatico, catturando l’attenzione quando qualcosa di nuovo o inatteso emerge nell’ambiente.

    Queste due reti comunicano costantemente tra loro: una mantiene il focus, l’altra segnala quando è necessario interromperlo per reagire a un evento rilevante.

    Il risultato è un equilibrio dinamico tra controllo e flessibilità, tra concentrazione e apertura al mondo.

    Nei bambini, lo sviluppo di queste reti rappresenta una delle basi del funzionamento cognitivo e sociale.

    Nei disturbi del neurosviluppo, come l’ADHD o i disturbi dello spettro autistico, un’alterazione di questi circuiti può rendere difficile mantenere l’attenzione o regolarla in base al contesto.

    Studiare l’attenzione significa, quindi, esplorare come il cervello filtra, seleziona e organizza l’esperienza. È una funzione invisibile, ma indispensabile: quella che permette alla mente di scegliere, tra tutto ciò che percepisce, ciò che davvero conta.

  • 0. Dentro la mente che cresce – Piccolo corso di neuroscienze cognitive e sociali dello sviluppo

    Piccolo corso di Neuroscienze cognitive e sociali dello sviluppo

    Perché nasce “Dentro la mente che cresce”?

    Nasce con una missione chiara: diffondere conoscenza scientifica sul funzionamento del cervello in crescita, rendendola accessibile, rigorosa e utile ai genitori e a chi lavora ogni giorno con bambini e adolescenti.

    La serie di post “Dentro la mente che cresce – Piccolo corso di neuroscienze cognitive e sociali dello sviluppo” nasce da questa esigenza: portare le neuroscienze fuori dai laboratori e dentro la vita reale, in un linguaggio comprensibile, empatico e fondato sui dati evidence-based.

    Il corso si ispira al modello delle neuroscienze computazionali, che vedono il cervello come un connettoma, una rete di connessioni dinamiche in cui ogni esperienza – un gesto, una parola, un’emozione – modifica la struttura stessa della mente.
    Capire questa rete significa comprendere come si costruiscono attenzione, memoria, linguaggio, emozioni e competenze sociali.

    Pubblicare i post serve, dunque, a:
    • Promuovere una cultura scientifica dello sviluppo, superando semplificazioni e miti;
     Raccogliere in un ordine coerente vari modelli e ricerche delle neuroscienze cognitive e sociali dello sviluppo;
    • Costruire ponti tra discipline: neuroscienze, psicologia, educazione e clinica;
    • Creare consapevolezza nei genitori, insegnanti e professionisti sul valore dell’intervento precoce e della relazione come strumento di crescita.

    Ogni post è un piccolo passo dentro la mente che cresce: un invito a vedere il bambino non come un insieme di difficoltà, ma come un sistema di potenzialità in connessione.