“L’attenzione è la presa di possesso, da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno tra i diversi oggetti o pensieri possibili.”
— William James, 1890

Con questa celebre definizione, William James, padre della psicologia moderna, riconosceva all’attenzione un ruolo fondamentale: la capacità di selezionare, tra i molti stimoli che ci circondano, quelli che meritano di essere elaborati in profondità.
L’attenzione è, in altre parole, la porta d’ingresso della mente. Senza di essa, la percezione rimane superficiale, la memoria si indebolisce e l’apprendimento perde efficacia.
Oggi le neuroscienze hanno confermato l’intuizione di James, mostrando che l’attenzione non è un processo unitario, ma una rete complessa di sistemi cerebrali che operano in modo coordinato.
In particolare, si distinguono due grandi vie attentive:
- la rete dorsale dell’attenzione (DAN), che orienta in modo volontario e intenzionale lo sguardo e la mente verso gli obiettivi;
- la rete ventrale dell’attenzione (VAN), che interviene in modo automatico, catturando l’attenzione quando qualcosa di nuovo o inatteso emerge nell’ambiente.
Queste due reti comunicano costantemente tra loro: una mantiene il focus, l’altra segnala quando è necessario interromperlo per reagire a un evento rilevante.
Il risultato è un equilibrio dinamico tra controllo e flessibilità, tra concentrazione e apertura al mondo.
Nei bambini, lo sviluppo di queste reti rappresenta una delle basi del funzionamento cognitivo e sociale.
Nei disturbi del neurosviluppo, come l’ADHD o i disturbi dello spettro autistico, un’alterazione di questi circuiti può rendere difficile mantenere l’attenzione o regolarla in base al contesto.
Studiare l’attenzione significa, quindi, esplorare come il cervello filtra, seleziona e organizza l’esperienza. È una funzione invisibile, ma indispensabile: quella che permette alla mente di scegliere, tra tutto ciò che percepisce, ciò che davvero conta.
